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Il signore delle mosche

  • Immagine del redattore: Beatrice Di Santo
    Beatrice Di Santo
  • 26 ago 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 1 feb 2021

Stamattina chiacchieriamo di un simbolo alquanto loquace, cioè del permesso alla parola rappresentato da un oggetto.

Prendo alcune frasi tratte da William Golding, Il signore delle mosche, Mondadori Editore, Oscar classici moderni 1992, p. 19, cit.­­­­­­

­­­­­­­­­Ralph li guardò con ammirazione, e Jack, che vide il suo sguardo, gli spiegò: «Ho cercato di salire su quella collina per vedere se c’era acqua tutto intorno. Ma la tua conchiglia ci ha chiamati.»

Ralph sorrise e alzò la conchiglia per imporre silenzio. «Ascoltate tutti. […]».

Siamo nel capitolo primo e i protagonisti sono alcuni ragazzi, unici superstiti di un incidente aereo, approdati su un’isola deserta.

Radunati in assemblea grazie al suono proveniente dalla conchiglia soffiata, Ralph usa proprio quest’oggetto naturale per zittire gli altri giovincelli e già da questo gesto intuiamo il valore fondamentale di tenere qualcosa tra le mani. Non è solo un richiamo per la compagnia ma è anche un simbolo di autorità dal momento che Ralph è stato eletto come capo proprio grazie alla conchiglia, come leggiamo a p. 18.

Inoltre, c’è un collegamento molto stretto con la possibilità di parlare, infatti dopo aver alzato la conchiglia, il suo detentore prenderà parola, ed è una parola che ha bisogno dell’ascolto di tutti, quindi del silenzio di tutti.

Quest’oggetto ha esercitato molta attrattiva nel corso delle epoche e per diversi fini. Pensiamo alla Venere del Botticelli, circa 1485, in piedi su una conchiglia poiché il mito nella Teogonia esiodea e nell’inno omerico VI vuole la nascita della dea associata alla spuma del mare. Ricordiamoci anche della Pala di Brera di Piero della Francesca, circa 1472, in cui la grande conchiglia appesa s’imprime del nuovo significato virginale e cristiano, irradiato a tutta la scena sottostante della Madonna con bambino. Oltre a questo fine artistico, possiamo citare inoltre la conchiglia secondo una ragione matematica che rammenta gli studi sulle spirali logaritmiche, ad esempio del Nautilus, e sicuramente nella nostra mente è viva l’immagine di uno scopo più commerciale, corrispondente al recupero delle perle interne ai bivalvi.

Ma tornando al racconto di Golding, percepiamo appunto l’assoluta autorità dell’oggetto marino, quasi acquistasse di per sé il potere di far parlare o zittire, con la semplice presenza nelle mani. Risulta interessante, ai fini di quest’analisi, l’episodio dello scettro omerico nell’Iliade, II, vv. 278-282, nell’edizione BUR Rizzoli 1999, tradotta da Giovanni Cerri.

­­­­­­­­­­

[…] e allora il distruttore di città, Odisseo,

s’alzò, con in mano lo scettro; e accanto Atena dagli occhi azzurri,

assunta forma d’araldo, invitava a tacere l’esercito,

in modo che tutti, vicini o lontani, i figli degli Achei

sentissero le parole e meditassero il suo consiglio;

[…]

Siamo sempre nel contesto di un’assemblea, dove l’eroe dal molteplice ingegno prende l’autorità nel momento in cui prende fisicamente l’oggetto con le mani, e la dea sua complice zittisce gli adunati. Ecco che lo scettro è congiunto alla capacità di emissione vocale e di impartire il mutismo al fine di trasformare i presenti in ascoltatori. Lo scettro, in realtà, appartiene ad Agamennone e infatti nell’interessante studio di Carmine Pisano [1] riguardante quest’oggetto scopriamo che Agamennone è considerato il migliore di tutti gli altri re, il capo insomma, in quanto possessore dello scettro. Nell’Iliade, canto II, v. 109, troviamo l’immagine di Agamennone appoggiato allo scettro e questa mossa attiva l’autorità e il comando della parola, come ci spiega Pisano a p. 5 e 10-11 della sua ricerca. Inoltre nelle parole di Achille del canto I, vv. 234-235, comprendiamo che questo scettro non è altro che un bastone ricavato dal legno dei tronchi, quindi un materiale naturale, come la conchiglia di Ralph, con la differenza che il bastone omerico è poi lavorato da Efesto. [2]

"Lo scettro descrive la sintassi dei rapporti che definiscono poteri e ruoli in una società priva di un codice scritto di leggi.[...]" precisa lo studioso Pisano a p. 10 del suo scritto e anche se non possiamo paragonare le due letterature, l’una greca antica e l’altra britannica novecentesca, nel loro tessuto informativo poiché troppo distanti nel tempo così come nelle strutture sociali e negl’intenti didascalici, tuttavia possiamo notare nella semplice curiosità della simbologia certe rassomiglianze di superficie. In sintesi, l’autorità collegata all’oggetto in mano in presenza di un’assemblea, dunque la possibilità discorsiva con il mettere a tacere il pubblico, e infine la necessità di adottare le precedenti dinamiche in vista di una comunità senza leggi scritte, come del resto si configura il gruppo di ragazzi ne Il signore delle mosche.

[1] C. Pisano, «Autorità senza autore» nella Grecia antica: il caso dello scettro, I QUADERNI DEL RAMO D’ORO ON-LINE n. 7 (2015), pp. 1-14. Sito web: http://www.qro.unisi.it. [2] Iliade, II, v. 101.

 
 
 

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© Beatrice Di Santo | Il Chiacchierino | Rubrica di chiacchiere letterarie. 

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