top of page

De Profundis

  • Immagine del redattore: Beatrice Di Santo
    Beatrice Di Santo
  • 30 gen 2021
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 1 feb 2021



Dov’è il Dolore, là il suolo è sacro. Un giorno ti renderai conto di ciò che questo significa. Fino a quel giorno, non saprai nulla della vita.

Dolore, sacralità e vita.

Così Oscar Wilde esprime il suo pensiero nell’opera De Profundis, Universale Economica Feltrinelli, I CLASSICI, XIV edizione 2010, p. 52, cit.

La sofferenza e l’esistenza sono dunque intimamente intrecciate, anzi a p. 18 l’autore spiega che la sofferenza è il solo strumento a renderci coscienti di essere al mondo.

La riflessione di Oscar Wilde suggerisce altresì una necessità nobilitante che pertiene al dolore. Risulta necessario passare un’esperienza patetica per apprendere davvero l’essenza del vivere. Ecco che il dolore nobilita poiché porta alla conoscenza delle cose, quasi insondabile in altre circostanze, ed esso osserva il segreto stesso della vita che porta a una presa di coscienza verso il significato del sacro. Quest’ultimo termine non richiama obbligatoriamente una religione ma sicuramente una verità per gli uomini, la quale possiamo rintracciare anche nel De Providentia di Seneca.

I dolori della vita, come scrive l’autore latino, sono esercitazioni per raggiungere una forza vera e sono necessari all’uomo virtuoso. “Marcet sine adversario virtus”, ovvero la virtù marcisce senza avversario, senza possibilità di affrontare sventure. E se i mali dovessero inchiodare l’uomo al suolo, egli “de genu pugnat”, combatte in ginocchio. [1]

Ecco che, secondo una mia interpretazione, il terreno dove poggia questa volontà umana è da considerarsi sacro grazie all’atto della genuflessione, che conficca a terra l’identità della vita stessa. È un ritaglio di tempo vero, cioè patito, ma riscattato dalla capacità umana di lottare contro gli ostacoli durante un particolar momento, dove apparentemente il tempo si ferma e “ruota su se stesso”, citando Oscar Wilde a p. 49.

In questo caso la genuflessione è dovuta alla precipitazione dell’uomo a causa delle disgrazie che tentano di sottometterlo, è quindi in primo luogo un’immagine libera dalla connotazione religiosa ma certamente ricorda in secondo luogo anche quest’ultima visione culturale di supplica e dolore, rafforzando il sopraccitato concetto di forza, intrinseca a questa posizione.

Oltre al tempo vero, il dolore circoscrive anche uno spazio vero, è dunque il suolo dove si concretizza il più alto abbattimento dell’uomo, cioè la combattiva genuflessione.

Ecco che i due aggettivi, sacro e vero, risultano manifestazioni di un unico concetto di sofferenza. Inoltre, come ci descrive Oscar Wilde alle pp. 18-19 del De Profundis, i patimenti sono fondativi per l’identità della persona e realizzano così un ulteriore atto di fondazione, cioè l’identità della vita stessa, che viene a contatto con il mondo proprio nell’istante in cui l’uomo viene gettato a terra.

Vero è il tempo della sofferenza, vero è lo spazio dove l’animo s’inginocchia, vera è la forza acquisita dall’uomo raccontata nel De Providentia, vere le parole scritte da Oscar Wilde e Seneca, le quali altro non sono che fondazione della vita e storia dell’uomo con i suoi affanni. Storia vera come storia sacra.

[1] Le citazioni latine sono tratte da Seneca, De Providentia, Tascabili Economici Newton 1993, p. 70.

Comments


Commenting on this post isn't available anymore. Contact the site owner for more info.
Post: Blog2_Post

© Beatrice Di Santo | Il Chiacchierino | Rubrica di chiacchiere letterarie. 

bottom of page