Il giardino segreto
- Beatrice Di Santo
- 3 ago 2020
- Tempo di lettura: 2 min
Se avete un giardino, andateci e sedetevi lì, in un bel posto tranquillo, per leggere quest’articolo. Ecco quattro chiacchiere a proposito della scrittrice Frances Hodgson Burnett, Il giardino segreto, Universale Economica Feltrinelli 2017, cap. IV, p. 37, cit.
Non essendo una bambina timida, anzi, essendo abituata a fare quel che le pareva, Mary andò alla porta verde e provò la maniglia. Sperava che non si aprisse perché in quel modo sarebbe stata certa di aver trovato il giardino misterioso, e invece cedette abbastanza facilmente.
È un libro senza età quello della Burnett, o forse è meglio dire un libro per tutte le età. Personalmente l’ho scoperto da adulta nella traduzione italiana e ho apprezzato la narrazione dei fatti molto fluida e la scoperta di più livelli di lettura. Può esserci un piano leggero di presentazione, adatto ai ragazzi, e un piano profondo, psicologico, comprensibile solo da adulti.
E partiamo da quest’ultimo per cercare di spiegare cosa rappresenti il giardino. Innanzitutto è un luogo dove appartarsi, a prescindere dal fatto che sia privato o pubblico. Sedendoci su una panchina, ad esempio, meditiamo, osserviamo o conversiamo se siamo in compagnia. È sinonimo di rilassarsi. Possiamo addirittura citare il termine paradiso che nella sua etimologia nasconde il significato di giardino come area circoscritta e beata. Ma è anche il luogo dove eseguire alcuni lavori, indispensabili se non vogliamo ritrovarci una selva incolta. È infatti un posto custodito e seguìto, dal proprietario, dal giardiniere o da altre figure. È sinonimo altresì di attivarsi e affaticarsi per ottenere un bel risultato. Mary infatti è la prima a voler strappare erbacce come si può leggere nel capitolo X, p. 80, e nel capitolo XI, p. 93, dove afferma di aver agito in modo spontaneo per creare respiro alle piantine. Infatti, la cura nel separare cose buone da quelle cattive rientra nei compiti psichici di una crescita personale, come infatti ci dimostra un’altra scrittrice, Clarissa Pinkola Estés, nella fiaba di Vassilissa e Baba Jaga nel libro Donne che corrono coi lupi.

Mary è una bambina intraprendente e all’inizio del racconto molto viziata. È anche grazie alla cura del giardino che la fanciulla inizia a maturare, proprio come una piantina. Ecco che il giardino è metafora del ciclo vitale umano, avviluppato da quel mistero che spesso ci intriga. La protagonista d’altronde vuole trovare a tutti i costi la porta giusta per accedere a quell’area. In qualche maniera il suo vizio acerbo di essere abituata a fare quel che le pareva l’ha portata a una sana intraprendenza, forse poiché Mary non aveva fini utilitaristici nei confronti dell’agognato giardino ma semplicemente una fanciullesca sete di scoperta. E questo zampillo instillava in lei il proponimento di avere un obiettivo da raggiungere, anche a costo di sbagliare porta.
Un breve approfondimento merita la porta sbagliata, appunto. La bambina sperava che non si aprisse: in questa frase la chiusura è collegata alla certezza. È un po’ come dire che non tutte le cose conosciute, aperte alla visione, significano sicurezza. Viceversa, un fenomeno chiuso, poco fruibile, può risultare il più certo, sebbene sia doveroso poi dimostrare la sua esistenza, magari avendo il coraggio di varcare la soglia.
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