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Il cappotto

  • Immagine del redattore: Beatrice Di Santo
    Beatrice Di Santo
  • 13 ago 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Anche se queste giornate calorose certamente non c'invogliano a indumenti invernali, ho deciso di parlare egualmente del cappotto più famoso della letteratura, cioè Il Cappotto di Nikolaj Gogol’.

Ecco un episodio del colloquio tra il sarto Petrovič e il protagonista Akakij Akakievič in Nikolaj Gogol’, Il cappotto, I Piccoli Grandi Libri Garzanti 2017, p. 39, cit. Dopo alcuni tentativi volti alla riparazione del suo vecchio cappotto, il protagonista s’arrende all’inevitabile verdetto del suo interlocutore.

Akakij Akakievič ricominciò a chiedere che lo riparasse, ma Petrovič non stette a sentirlo e disse: «Uno nuovo ve lo faccio a pennello, su questo ci potete contare, ci metterò tutta la mia attenzione. Si può fare anche come va di moda adesso, il colletto che si abbottona con zampine d’argento placcato». Fu qui appunto che Akakij Akakievič si rese conto che di un cappotto nuovo non si poteva fare a meno e si perse completamente d’animo.

La vecchia vestaglia, com’è altresì chiamata nel racconto, oramai è logora e non protegge più dal freddo di Pietroburgo ma Akakievič non vuole liberarsene, non può permettersi di pagare un nuovo soprabito e cerca di convincere più volte il sarto al rattoppo del vecchio.

Non è solo un problema economico. Cambiare soprabito significa un po’ cambiare identità e questo mutamento può essere difficile da accettare e il protagonista infatti si sente smarrito in un primo momento. L’angoscia scaturisce dalla necessità di cambiare e gettar via il vecchio cappotto, ovvero il vecchio schema. Uscire dalle proprie precedenti categorie è psicologicamente arduo e forse ci vuole proprio qualcosa di visibile, come un indumento, per aiutare a fraternizzare con il nuovo io.

Il cappotto esteriorizza la nuova personalità. Infatti, in un momento successivo allo sconforto iniziale, l’attesa della novità e l’immagine del futuro possesso diventano quasi un esercizio di focalizzazione e discernimento: il sol pensiero del nuovo soprabito basterà a migliorare l’identità e subito il protagonista diverrà un altro, più solare e risoluto, come leggiamo alle pagine 43-44. Fino a pochi giorni prima Akakievič era addirittura preso di mira dai colleghi nel suo ambiente lavorativo e ora il nuovo cappotto crea il nuovo io. O forse è meglio dire, estrae il nuovo io che era già insito e latente, come ci insegna anche Pirandello. “Riconoscete forse anche voi ora, che un minuto fa voi eravate un altro?” scrive l'autore italiano in Uno, nessuno e centomila, I Grandi Libri Garzanti 2017, p. 35, cit. Ma questa comparsa in scena del nesso nuova cosa-nuovo io risulta a caro prezzo, non solo in termini monetari ma anche di vita e bisogni primari. Akakievič dovrà limitare le spese e fare frequenti sacrifici quotidiani per questo cappotto, addirittura dovrà saltare alcuni pasti, come troviamo alle pagine 42-43. E finalmente arriva il giorno in cui il sarto Petrovič consegna la confezione ultimata. È forse il dì più importante di tutti. Non manca mai una sorta di scintilla aulica nel rituale della prova d’abito e sebbene nel racconto di Gogol’ prevalga una descrizione poco cerimoniosa e sicuramente più comune e pratica di tale vestizione, ci accorgiamo senza dubbi che il protagonista risorge nell’animo, s’innalza quasi a un rango più illustre, grazie alla perfezione del prodotto sartoriale. Eccolo il gran signore, come troviamo specificato a pagina 50.

Nuovo abito, nuova vita insomma. O perlomeno ci rendiamo conto che spesso esiste quest’associazione, come ci conferma anche Alberto Moravia nel romanzo Gli indifferenti, Tascabili Bompiani 2003, p. 5, dove il protagonista Leo cerca di persuadere Carla al cambiamento di vita, connesso alla promessa di nuovi abiti.

“Tutto quello che vorrai… vestiti, molti vestiti, viaggi…; viaggeremo insieme…; è un vero peccato che una bella bambina come te sia così sacrificata…: vieni a stare con me Carla…”

“Ma tutto questo è impossibile,” ella disse tentando inutilmente di liberare la veste da quelle mani; “c’è mamma… è impossibile.”

E concludo dicendo che non tutti riescono a mutare il proprio animo, staccandosi dai vecchi panni. Akakievič ce l’ha fatta ma lascio scoprire a voi come andrà a finire la storia consigliandovi l’edizione della Garzanti da me recensita.

Un saluto chiacchierino! Al prossimo articolo!

 
 
 

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© Beatrice Di Santo | Il Chiacchierino | Rubrica di chiacchiere letterarie. 

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