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Neve

  • Immagine del redattore: Beatrice Di Santo
    Beatrice Di Santo
  • 10 ago 2020
  • Tempo di lettura: 3 min

Wilhelm Simmler (1840-1914) Auf dem Hochseil, olio su tavola, 11x11 cm.







Bentrovati a “Il Chiacchierino”! Partiamo direttamente con la frase di oggi tratta da Maxence Fermine, Neve, asSaggi di narrativa Bompiani 1999, p. 105, cit.

Ci sono due specie di persone.


Ci sono quelli che vivono, giocano e muoiono.


E ci sono quelli che si tengono in equilibrio sul crinale della vita.


Ci sono gli attori.

E ci sono i funamboli.

Ho letto questo racconto moltissimi anni fa eppure mi sono sempre ricordata questa massima. È un libro molto intenso e riflessivo, un connubio tra amore, poesia e insegnamento. È un libro sugli haiku. Sebbene già la prima pagina del libro apri al mondo giapponese citando questa composizione letteraria, possiamo ugualmente notare una visione forse un po’ occidentale riscontrabile nell’estratto da me scelto, dove troviamo un’immagine dualistica delle personalità. Siamo attori oppure funamboli. Quasi se il filo che si tende per la camminata in aria diventasse la linea divisoria tra queste due categorie.

Gli attori formano il pubblico, coloro che si vivono il momento, ridono, applaudono, trattengono il respiro alla vista delle acrobazie circensi. Sono collocati in basso rispetto ai funamboli. Quest’ultimi invece hanno bisogno di essere concentrati su ciò che fanno, gli esercizi sono ponderati, misurati, con forza ed elasticità allo stesso tempo. Un passo alla volta. Devono quasi fingere che non ci sia nessuno a guardarli per eseguire il numero lassù sulla corda, anche se non possono mai dimenticarsi del pubblico veramente.

Gli attori invece mettono subito in moto l’azione, teatralizzando la loro vita, con gesti magari azzardati, talvolta frettolosi, talaltra calmi, a seconda della vivacità o meno del momento. Piangono, scherzano, s’arrabbiano, ammiccano. Sicuramente anche a loro non manca una dose di finzione ma è un meccanismo più ironico e ilare rispetto agli acrobati sul filo, i quali si assicurano la vita al gancio della riflessione e del bilancio. Gli attori forse non hanno tempo di soppesare e si buttano a capofitto nel gioco, magari facendo carte false o cambiando mossa in uno schiocco di dita se la precedente risulta inefficace. Amano il mondo, ne sono travolti e ne escono travolgenti, come caratteri. Probabilmente irradiano una spontaneità che si mescola alla recita. Il palcoscenico è metafora del mondo, lo sappiamo. “Considero il mondo per quello che è, Graziano: un palcoscenico sul quale ciascuno recita la propria parte” dice Antonio nell’atto primo, scena prima nell’opera Il mercante di Venezia di William Shakespeare. Gli attori vivono nel quotidiano e in alcune occasioni si affidano altresì alla dea Fortuna. O la va o la spacca è il loro motto. Ce lo conferma anche il protagonista di Luigi Pirandello nel libro Il fu Mattia Pascal, Supplemento a Famiglia Cristiana, Mondadori Editore 1988 a pagina 58: “Puntavo dapprima poco; poi man mano, di più, di più, senza contare”. In ogni caso, lo spettacolo deve continuare, anche se si perde tutto.

L’acrobata invece sa che non c’entra la fortuna: se compie l’esercizio esattamente come insegnato e provato tutte le volte precedenti in cui ha funzionato, funzionerà anche stavolta. Altrimenti, se costui cade è per errore, non per mancanza di fortuna. I camminatori in aria hanno una prudenza lungimirante e non vivono alla giornata come gli altri. Dosano gli attimi in vista di un traguardo, anche vicino ma pur sempre futuro. Scrivono forse un diario, dove appuntare i vari pensieri e tessere così il filo della loro storia, tornando qualche volta a rileggersi. Amano lo spirito. E anche il calcolo. Questi due fattori sono più ravvicinati di ciò che crediamo. Spirito significa soffio. Pensiamo a una colomba, simbolo spirituale, che segue il vento come ne fosse un suo sbuffo ma contemporaneamente, da esperta, pilota il suo saliscendi.

Anche Charles Baudelaire in un suo componimento dedicato allo spirito conclude dicendo che è fortunato “colui che plana sulla vita e, capisce senza sforzi, il linguaggio dei fiori e delle cose mute!” in C. Baudelaire, I fiori del male, poesia Elevazione, I grandi classici, Rusconi Libri 2004, p. 11, cit. Ecco che il funambolo, pur non affidandosi alla Fortuna come fa l’attore, in qualche modo possiede in sé il dono della buona sorte, alla condizione che sappia planare.

Ringrazio per la lettura di questo post e spero vi sia gradita questa mia interpretazione e descrizione delle due categorie. Anni fa mi sentivo più una funambola, in quest’ultimi anni mi sento più un’attrice. E voi cosa siete? Attori o funamboli?

 
 
 

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© Beatrice Di Santo | Il Chiacchierino | Rubrica di chiacchiere letterarie. 

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